Computer e Dialèt 2

 

1.      Premessa

 

Non crediamo sia il caso di riprendere qui, ancora una volta, quanto già scritto in più occasioni circa l’importanza, in termini di prestigio e di diffusione, della grafia “normalizzata” (o “storica”) del Piemontese, né di ribadire come essa rappresenti solo un diverso modo di scrivere le stesse parole, gli stessi suoni delle nostre parlate, senza alcuna interferenza in questo senso. E neppure staremo ad illustrare nei dettagli come la “normalizzata” costituisca la chiave per accedere a gran parte dei Concorsi letterari indetti nella nostra Regione: ormai da alcuni anni abbiamo il piacere di “traslitterare” testi di vari Autori e di vederli poi ottenere meritati e prestigiosi riconoscimenti che fanno di Novara e del Novarese una presenza non più sporadica. Piuttosto è da sottolineare come questi successi possano oggi diventare non sono momento di legittima soddisfazione per i singoli che li conseguono, ma anche spunto per la crescita di un movimento culturale complessivo, crescita che non sarebbe certo possibile se ci si limitasse a trarre spunto dalla asfittica offerta culturale che connota la nostra provincia (parliamo qui di concorsi, non semplicemente di rassegne o serate, che certo possono avere un loro ruolo, ma che per definizione si sottraggono al compito, pure necessario, di far emergere i migliori).

 

2.      Tre... cautele

 

Da molto tempo ci veniva da più parti richiesto un prontuario su come effettuare il passaggio dalla grafia locale a quella normalizzata, e sempre ci eravamo sottratti a questa domanda. Ciò per almeno tre buoni motivi, che rappresentavano – e continuano a rappresentare – altrettante indicazioni di “Prudenza!”:

a.      il “prontuario” non può ancora considerarsi completo: è tuttora un work in progress che – ne siamo statisticamente certi – subirà ulteriori modifiche (si spera solo di dettaglio) nel prossimo futuro;

b.      anche se il “manuale di istruzioni” fosse completo e definitivo, andrebbe comunque sottolineato con forza che nelle indicazioni circa la traslitterazione si dà per scontato che la grafia di partenza sia quella “locale” dell’Academia dal Rison (e non una qualsiasi grafia di quelle che sono state discutibilmente definite “alla novarese”), e, naturalmente, che tale grafia sia applicata in modo corretto: in mancanza di questi requisiti, il “prontuario” – anche quando sarà definitivo – non potrà che portare, di regola, ad una moltiplicazione degli errori;

c.   infine, posto che – come detto in premessa – il ruolo che la grafia normalizzata ha in quanto “chiave d’accesso” ai concorsi dovrebbe essere ormai ben chiaro, non vorremmo che qualcuno si lasciasse tentare da un utilizzo “eticamente disinvolto” di tale grafia: la grafia normalizzata non è un “bacomat” che permette di (provare ad) ottenere riconoscimenti, ma è il segno tangibile dell’adesione ad una comunità culturale di cui possiamo far parte (sia pure in posizione linguisticamente decentrata) e che – cosa più importante – ci apre le braccia senza riserve. L’offerta può essere accettata o rifiutata, ma si deve poi essere coerenti con la propria scelta.

Alla luce di quanto sopra, ed in particolare dei primi due punti, ci permettiamo quindi di suggerire agli Autori che vorranno cimentarsi nella traslitterazione delle proprie opere l’opportunità di sottoporci l’esito finale di tale procedura, il che potrà costituire anche per noi un utile ampliamento della casistica studiata. Ad una tale consultazione è subordinata anche la possibilità, da parte degli Autori, di attribuire all’Academia dal Rison la grafia utilizzata.

Saremo lieti di essere consultati in caso di dubbi o difficoltà, nonché di ricevere segnalazioni su eventuali lacune o errori.


 

3.      Dalla grafia “locale” a quella “normalizzata”: cosa cambia

 

Cosa cambia nel passaggio dalla grafia “locale” a quella “normalizzata”? Apparentemente, “molto”: le due grafie, infatti, restituiscono “a prima vista” impressioni molto diverse.

Basta tuttavia far eseguire al computer le sostituzioni sistematiche indicate nella tabella

a fianco (con l’accortezza, determinante, di procedere esattamente nell’ordine indicato) per ottenere un testo che “sembrerà” già molto vicino alla grafia normalizzata.

E se onestà vuole che si dica che non tutte le sostituzioni sono così “facili”[1], va anche sottolineato come queste semplici, addirittura “banali” operazioni di sostituzione automatica rappresentino, dal punto di vista quantitativo, già (almeno) il 90% delle modifiche necessarie.

Tab. 1

Sostituisci

con          

o

ò (1)

ó

ô (2)

ù

ó

u

o

ü

u

ǜ

ù

ö

eu

a-

ë (3)

sgi, sge, sgè

ĝi, ĝe, ĝè

s-g

    sg          

(1)    (1)       Eccezione: la congiunzione “o” rimane tale anche in normalizzata.

(2)    (2)       Il segno ‘ô’ non è in realtà ad oggi “ufficialmente” contemplato dalla grafia piemontese     normalizzata, che non prevede in effetti alcun grafema specifico per la ‘o’ chiusa. Il ricorso alla ‘ô’ per rendere questo fonema è stato tuttavia suggerito da Nedo Bocchio Chiavetto, con riferimento alla parlata locale di Prato Sesia[2] e più in generale al “Piemontese parlato nelle Valli della Sesia e della Sessera”[3]. In quella variante la “o” chiusa ha probabilmente suono “ancora più marcatamente chiuso” (e certo un ruolo più caratterizzante) di quanto avviene da noi, ma il problema (necessità di un nuovo “segno” rispetto a quanto previsto dalla grafia normalizzata) è analogo, per cui ci pare corretto adottare anche una analoga soluzione. Aggiungiamo che questa (piccola) aggiunta ha già passato ripetutamente il “vaglio” di concorsi che ponevano fra le condizioni di ammissione l’utilizzo della grafia piemontese: citiamo per tutti il prestigioso “Sità ’d Canej” [Città di Canelli], nel cui bando di concorso si legge “La grafìa dovrà dai concorent a dev esse cola piemontèisa”.

(3)       Solo se è prostetica (es.: cinch a-stra = cinch ëstra), non invece in parole composte (es.: porta-ciav = pòrta-ciav). Da notare anche che, qualora la variante prevedesse l’introduzione di una ‘a prostetica’ anche dopo un articolo (determinativo o indeterminativo), la trattazione sarebbe ancora diversa: p.es. un eventuale “n’a-spegg” andrebbe normalizzato in “në spegg”.

 

Può essere utile a questo punto proporre qualche esempio pratico di come variano alcune singole parole nel passaggio dalla grafia “locale” a quella “normalizzata”:

 

Gr. locale

Gr. norm.

 

Gr. locale

Gr. norm.

 

Gr. locale

Gr. norm.

gross

gròss

 

sciur

scior

 

giögh

gieugh

pivión

piviôn

 

tüt

tut

 

cör

cheur

utùbar (a)

otóbar (a)

 

ǜltim

ùltim

 

basg-lèta (b)

baĝlèta (b)

 

(a)    Nel caso delle parlate della Bassa Novarese: utùbär ð otôbär.

(b)    L’esempio vale in questo caso solo per la parlata di Novara; un esempio analogo per Borgolavezzaro è: rüsg-nä ð ruĝnä.

 

4.      La normalizzazione: le difficoltà più “tipica”

 

Pur senza avere la pretesa di esaurire qui la trattazione dell’argomento, proponiamo ora le difficoltà che si incontrano più di frequente nella procedura di normalizzazione.

 

a)      “ö” preceduta da “c” o “g” dolce

Come detto la “ö” viene traslitterata in “eu”. Applicando le sostituzioni automatiche elencate avremmo allora p.es. che “cör” diventerebbe “ceur”. La presenza di una “e” dopo la “c” potrebbe però indurre a pronunciare la “c” stessa come “dolce”. Volendo invece mantenerne il suono “duro” si inserirà una “h”: “cheur”. Analogamente: “göb” diventerà “gheub” (e non semplicemente “geub” come si otterrebbe con la sostituzione automatica). Nel caso invece di “c” e “g” dure non occorrono interventi “correttivi”: p.es. “giögh” si normalizza in “gieugh”.

 

b)      “u” invariata

In alcuni casi la “u” rimane “u” anche in normalizzata (anziché diventare “o”) : p.es.

ü       quando è preceduta dalla ‘q’: si scriverà cioè p.es. “quart” (e non “qoart”) anche in grafia normalizzata

ü       e nei gruppi “gu+vocale” se la “u” forma dittongo con la vocale che segue (p.es.”guèrsc”); si ha invece traslitterazione in “o”, secondo la regola generale, se forma iato (p.es. “goernà” – nella bassa Novarese: “goernè” oppure “goerné” – [governare]).

 

c)      L’articolo “al”

Come anticipato nella nota 3,

ü        “al si normalizza in «ël» quando è articolo,

ü        mentre rimane invariato quando è pronome verbale

ü        e quando è preposizione articolata

La frase “al (articolo) ziu al (pronome verbale) và al (preposizione articolata) màr”; diventa dunque “ël zio al va al màr”[4].

 

d)      L’articolo “i”[5]

Anche “i” ha più di una funzione, e di nuovo la normalizzata sottolinea questo anche a livello grafico:

ü       “i” si normalizza in «ij» quando è articolo e precede una parola che inizia per consonante: “ij dòni” [Borgolavezzaro: “ij don”]

ü       e in «j’» quando è articolo ma precede una parola che inizia per vocale “j’ùltim”;

ü       resta invece invariato quando è pronome verbale: “J’òman i pagàvän püssè” [Bassa Novarese: “J’òmän i paghévän püssè”].

 


 

e)      La preposizione “da”

La normalizzazione della preposizione “da” rappresenta in assoluto il problema più spinoso che si incontra durante la normalizzazione. Ciò si deve al fatto che le varianti novaresi rendono indifferentemente con “da”

ü       tanto l’italiano “di”: “dü da lur” (“due DI loro”)

ü       che l’italiano “da”: “l’è rivà da Türin” (“è arrivato/a DA Torino”)

Il Piemontese (e quindi anche la normalizzata) distingue invece i due casi, proponendo rispettivamente “dë” (“du dë lor”) e “da” (l’è rivà da Turin”). Purtroppo il ricorso all’una o all’altra alternativa dipende dal complemento che la preposizione si trova a reggere e, in qualche caso, perfino, dallo specifico modo di dire, con tutte le complicazioni che ne derivano. Tuttavia una approssimazione molto buona si ottiene scrivendo

ü       “dë” quando il “da” della parlata locale sta per l’italiano “di”

ü       e “da” quando sta invece per l’italiano “da”.

Problemi in larga misura analoghi si hanno con “ad” e “dal”.

 

f)        Alcune sostituzioni “mirate”

In alcuni casi particolari, infine, si deve procedere a sostituzioni “mirate”, relative cioè a singole parole.

ü          ð va. Un primo esempio è quello cui si faceva cenno nella Nota 4, in cui si è detto che “và” (voce verbale da “andà” [“andè”, “andé” nella Bassa Novarese]) perde l’accento nella normalizzazione perché cade la necessità diacritica che giustifica, a livello locale, l’accento stesso. Così la frase

“va’ [= varda] ch’l’è dre ch’al và: a va spèta mia!”[6]

(“guarda che se ne sta andando: non vi aspetta”)

diventa in normalizzata

“va’ ch’l’è dre ch’al va: a vë spèta mia!”

[la frase è nella parlata di Novara; a Borgolavezzaro avremmo: “va’ [= vardä] ch’l’è dre ch’al và: a va speciä no!” ð “va’ ch’l’è dre ch’al va: a vë speciä nò!”].[7]

ü          Pronomi personali complemento. Proprio i pronomi personali complemento rappresentano un tipico caso di sostituzione: p.es. la frase “a ma/ta/ga/va scapa da pissà” diventa “a më/të/ghë/vë scapa dë pissà”. [a Borgolavezzaro: “a ma/ta/ga/va scapä da pissé” ð “a më/të/ghë/vë scapä dë pissé”]. N.B. Per quanto riguarda le varianti della Bassa Novarese che utilizzano il pronome di seconda persona singolare “ta”, tale pronome rimane invece invariato: “Ti ta ta spegiä” [tu ti specchi] si normalizza in “ti ta të spegiä”.

ü          Di” ð dij (partitivo). La preposizione dialettale “di”, che il più delle volte ha valore partitivo [“dei”, “delle”: “un pò di mè parent” (“alcuni dei miei parenti”), “al püssè grass di mè ziu” (“il più grasso tra i miei zii”)] si normalizza in “dij”: “on pò dij mè parent”; “ël pussè grass dij mè zio”.

Ciò avviene anche davanti a nomi che iniziano in vocale, in quanto anche in questo caso il suono della ‘i’ di ‘di’ non diventa semiconsonantico ma rimane pienamente vocalico: “a gh’è di udur gram” (“ci sono degli odori sgradevoli”) ð “a gh’è dij odor gram”.

ü          ð di (sostantivo). Un altro caso ricorrente è quello del sostantivo “dì” (giorno), che in grafia locale è accentato per distinguerlo dalla preposizione “di”. Poiché tale preposizione viene scritta diversamente nella grafia normalizzata (dove quasi sempre diventa “dij”), anche qui la finalità diacritica cessa e con essa viene meno la necessità di accentare la parola. L’espressione “Al dì di mort” si normalizza pertanto in “Ël di dij mòrt”.

ü          Par ð për (preposizione semplice). Un’ultima normalizzazione assai frequente che riteniamo di segnalare è infine quella della preposizione semplice “par” [per], che per convenzione diventa “për”.[8]

ü          Po’ ð pò. A lungo abbiamo scritto, come in italiano, «po’». La normalizzazione porterebbe ad un improponibile «pò’», che va quindi cambiato in “pò”. Tuttavia siamo ormai convinti che sia più coerente la grafia “pò”, in quanto evita di riproporre una ossequiosità alla grafia italiana che altrove è stata evitata (p.es. “cel” e non “ciel”).

 

Tabella riassuntiva

Sostituisci

con

ó

ô

(po’ [solo parole intere])

(pò)

o

ò

ò [solo parole intere]

o

ù

ó

u

o

qo

qu

ü

u

ǜ

ù

ö

eu

sgi

ĝi

s-gi

sgi

a- (prostetica) [solo parole intere;

NON se «n’a-»]

ë

a’ (articolo) [solo parole intere]

ë’

al (articolo) [solo parole intere]

ël

ad [solo parole intere; da valutare]

ëd

da [solo parole intere; da valutare]

dal [solo parole intere; da valutare]

dël

par [solo parole intere]

për

pàr [solo parole intere]

par

di  [solo parole intere]

dij  [solo parole intere]

dì (solo se significa “giorno”)

di

i (articolo) [solo parole intere]

ij [se la parola che segue inizia per consonante]

i (articolo) + spazio [solo parole intere]

j’ [se la parola che segue inizia per vocale]

qo

qu

go + vocale (solo se dittongo)

gu + vocale

Ceu

Cheu

Geu

Gheu

na (solo pron. pers. compl.)

[solo parole intere]

ga (solo pron. pers. compl.) [solo parole intere]

ghë

ma (solo pron. pers. compl.) [solo parole intere]

sa (solo pron. pers. compl.) [solo parole intere]

ta (solo pron. pers. compl.) [solo parole intere]

va (solo pron. pers. compl.) [solo parole intere]

(facoltativo) ssla

ss-la

 

  Sandro Bermani

   Da: La Famiglia Nuaresa, dicembre 1999, 170, p. 10.

 


 

L’è ’gnǜ sera

 

Tim meni via par man

sul se tim parli,

e i turni cun la ment

andua t’ho vist la prima volta:

in mès al verd,

là in alt, tra cel e tèra.

E pàssan,

cume l’aqua d’un turent,

i uri, ... e van e van

i gambi via sicüri,

insèma ti par man

sul se tim parli.

Bàtan i cör

e i ànim i hin visin;

tant al sùl l’è già calà!

Sètat chì e dam da trà:

l’è pü ’l temp dla ligera,

anca lü l’è finì!

T’sè capì?, l’è ’gnǜ sera!

Tapet verd dzura i tàvul;

tapet verd d’una volta

vin nuvèl da vendèmia

e vigèt ch’i ciciàran;

caciadur cunt al can

e na vègia cansón

ch’as senta luntan...

L’è ’l mè mund!

’Dèss són chì urmai tüt discrusià.

Ma anca ti dam da trà:

fèrmat ... fàt mia strüsà!

Sètat chì renta mi

e mòvat pü.

Manda giò i gulón cun mi;

i gulón d’un temp perdǜ

’nt i pra dla giuventǜ.

Adèss, tra tanti büsìi,

gh’è na roba sula ch’l’è vera;

T’sè capì? ... L’è ’gnǜ sera!

 

  L’è ’gnù sera 
 
  
Tim meni via për man

sol se tim parli,

e i torni con la ment

andoa t’hò vist la prima vòlta:

in mès al verd,

là in alt, tra cel e tèra.

E pàssan,

come l’aqua d’on torent,

j’ori, ... e van e van

ij gambi via sicuri,

insèma ti për man

sol se tim parli.

Bàtan ij cheur

e j’ànim i hin visin;

tant ël sól l’è già calà!

Sètat chì e dam da trà:

l’è pu ’l temp dla ligera,

anca lu l’è finì!

T’sè capì?, l’è ’gnù sera!

Tapet verd dzora ij tàvol;

tapet verd d’ona vòlta

vin novèl dë vendèmia

e vigèt ch’i ciciàran;

caciador cont ël can

e na vègia cansôn

ch’as senta lontan...

L’è ’l mè mond!

’Dèss sôn chì ormai tut discrosià.

Ma anca ti dam da trà:

fèrmat ... fàt mia strusà!

Sètat chì renta mi

e mòvat pu.

Manda giò ij golôn con mi;

ij golôn d’on temp perdù

’nt ij pra dla gioventù.

Adèss, tra tanti busìi,

gh’è na ròba sola ch’l’è vera;

T’sè capì? ... L’è ’gnù sera!

 


 

                                                   AS faseva quand a rivava i primi geladi

Al giasc

 

[...]

La giascèra

Finì da menà cà al ris, as cumenciava a spianà ben una campagna visin a la cassina, e pö as impieniva d’aqua alta dü o tri did. Pö a sa spetava che al gel a la faseva giascià. Quand l’era diventà un bèl lastrón da giasc i lassàvan andà sǜ i fiöi a fà la scülgarola, cusì intant ch’i giügàvan i rumpévan al giasc indua l’era trop sütil e i impienìvan i voi. Pö al fitàvul al mandava i òman a fà cur ancura dü o tri did d’aqua datsura dal giasc e a spetava ch’la gelava anca cula-lì. I ’ndàvan vanti cusì fina a quand a gneva un giasción alt almenu una spana e alura l’era prunt. I òman i ’ndàvan déntar cunt i pich, i la s-ciapàvan a toch, i la cargàvan sü ’n trabüch e pö i la menàvan cà, visin a un bügión a tramuntana fund püssè d’un òman: la giascèra.

Par fà una giascèra a gh’andava bütà déntar int al bögg un curs da giasc e vün da büla, pö ancura vün da guasc e vün da büla, e via cusì fin quand l’era pien. Pö cun di passón (=paletti) da rübina as faseva na scapiota par quercial; cunt al tecc da paja spèss mès métar e cun do porti vüna déntar int l’altra. La prima a gh’aveva la saradüra e par düerdala agh andava la ciav. La secunda, ch’la dava propi int la giascèra, la düerdévan pena dopu avé sarà sǜ la prima par mia fà rivà fina al giasc i bufón d’aria calda. La tèra vansà dal bögg la gneva miss tüta in gir a la scapiota e s’agh n’era basta anca sül tecc, e cusì as furmava cumè na muntagnola.

Sül giasc al laté al pugiava i furmi da strachin zèrb e a ia lassava lì fin quand agh n’era na carga da purtà a Nuara dua i strachinat (stagionatori). Al fitàvul e i salarià i purtàvan déntar la pulaja, vidèl, lùmbar, insuma tüta la roba ch’la duveva vess cunservà int al frèd. Lì, la dürava mes e mes, e quand al lavur l’era stai fai ben a gneva l’ura da fà al giasc ch’al gh’era ancura cul vegg.

La giascèra la duveva vess fai par Nadal: l’eva l’ǜltim racolt.

[..]


 

                                                      As faseva quand a rivava ij primi geladi

Ël giasc

 

[...]

La giascèra

Finì dë menà cà ël ris, as comenciava a spianà ben ona campagna visin a la cassina, e peu as impieniva d’aqua alta du o tri did. Peu a së spetava che ël gel a la faseva giascià. Quand l’era diventà on bèl lastrôn dë giasc i lassàvan andà sù ij fieui a fà la sculgaròla, così intant ch’i giugàvan i rompévan ël giasc indoa l’era tròp sutil e i impienìvan ij vòi. Peu ël fitàvol al mandava j’òman a fà cor ancora du o tri did d’aqua datsora dël giasc e a spetava ch’la gelava anca cola-lì. I ’ndàvan vanti così fina a quand a gneva on giasciôn alt almeno ona spana e alora l’era pront. J’òman i ’ndàvan déntar cont ij pich, i la s-ciapàvan a tòch, i la cargàvan su ’n trabuch e peu i la menàvan cà, visin a on bugiôn a tramontana fond pussè d’on òman: la giascèra.

Për fà ona giascèra a gh’andava butà déntar int ël beugg on cors dë giasc e vun dë bula, peu ancora vun dë giasc e vun dë bula, e via così fin quand l’era pien. Peu con dij passôn (=paletti) dë rubina as faseva na scapiòta për quercial; cont ël tecc dë paja spèss mès métar e con dò pòrti vuna déntar int l’altra. La prima a gh’aveva la saradura e për duerdala agh andava la ciav. La seconda, ch’la dava pròpi int la giascèra, la duerdévan pena dòpo avé sarà sù la prima për mia fà rivà fina al giasc ij bofôn d’aria calda. La tèra vansà dal beugg la gneva miss tuta in gir a la scapiòta e s’agh n’era basta anca sul tecc, e così as formava comè na montagnòla.

Sul giasc ël laté al pogiava ij formi dë strachin zèrb e a ia lassava lì fin quand agh n’era na carga da portà a Noara doa ij strachinat (stagionatori). Ël fitàvol e ij salarià i portàvan déntar la polaja, vidèl, lómbar, insoma tuta la ròba ch’la doveva vess conservà int ël frèd. Lì, la durava mes e mes, e quand ël lavor l’era stai fai ben a gneva l’ora dë fà ël giasc ch’al gh’era ancora col vegg.

La giascèra la doveva vess fai për Nadal: l’eva l’ùltim racòlt.

[..]

Giuseppe  Tencaioli

dal Corriere di Novara


 

[1] P.es. nella grafia “locale” si scrive (e si pronuncia) “al” riferendosi indifferentemente all’articolo determinativo maschile, al pronome verbale di 3^ persona singolare o alla preposizione articolata: scriviamo così “al (articolo) ziu al (pronome verbale) và al (preposizione articolata) màr”; in grafia normalizzata invece quando «al» è articolo è convenzionalmente scritto “ël”, per cui in normalizzata la frase proposta diventa “ël zio al va al màr”. Chiariamo subito, a scanso di equivoci, che la distinzione tra “ël ed “al” è esclusivamente grafica e non ha alcun riverbero sulla pronuncia (che rimane comunque /al/). E’ evidente che sostituzioni di questo tipo non possono essere lasciate al computer, ma vanno effettuate alla luce di una (per quanto semplice) analisi grammaticale specifica da svolgersi di volta in volta.

[2] In “Antonio Guarneri, Parlée da Praa. Dizionario pratese-italiano”, edizione della Pro Loco di Prato Sesia [NO], 2002, (vocabolario che “sarebbe” – il condizionale è purtroppo doveroso, considerate le notevoli imprecisioni contenute – in “piemontèis comun”) si legge infatti (p. 15) «Abbiamo seguito per la grafia le norme adottate dal “Centro studi Piemontesi” e stilate dall’eminente studioso ed appassionato cultore Nedo Bocchio, insegnante della lingua “piemontèis comun”. Egli, in base a studi filologici, ha potuto aggiungere la vocale “o” con accento circonflesso “ô” per facilitare la pronuncia chiusa – au, eau francesi – tanto frequente nelle parlate valsesiane.».

[3] Lo stesso Bocchio Chiavetto nella sua “Grammatica Valsesiana – Dispense delle esercitazioni nelle varianti locali” (materiale didattico a corredo del Corso “Piemontèis d’amprende – Leggerlo scriverlo parlarlo”, Corso organizzato dal Centro Studi Piemontesi e tenutosi a Varallo Sesia nel 2005) pone la ‘ô’ tra le “particolarità ortografiche che si possono incontrare in scritti che vogliono rendere fedelmente la pronuncia del Piemontese parlato nelle Valli della sesia e della Sessera”, e chiarisce che “si pronuncia come se fosse una o italiana molto chiusa (folatôn, dolôr, côre)” (pag. 1). Si noti che la pronuncia dei termini proposti è rispettivamente:fulatón, dulór, córe (correre).

[4] Lo scrivere “và” (accentato) in grafia locale e “va” (non accentato) in normalizzata non è un errore ma risponde ad una necessità diacritica che si ha in grafia locale: vedi successivo punto “g”. Viceversa, “màr” [mare] resta accentato in entrambe le grafie perché sempre diacritico rispetto a “mar” [amaro].

[5] La presenta trattazione fa riferimento alla grafia fino ad ora utilizzata “ufficialmente” (cfr. la rubrica “L’Academia di giögh” sul Corriere di Novara). Sono ancora in fase di studio ipotesi che permetterebbero di risolvere il problema già a livello di grafia locale. Come si noterà, in questo caso la resa grafica della normalizzata è più vicina alla pronuncia di quanto non sia la grafia utilizzata finora a livello locale. Tuttavia non è automatico che l’articolo “i” abbia pronuncia semiconsonantica se seguito da termine che inizia in vocale: p.es. “a gh’ha saltà ’nt j’öcc” o “a gh’ha saltà ’nt i öcc”?

[6] Ricordiamo che, mutuando la regola dal Piemontese, in caso di omofoni monosillabi, si segue una sorta di “gerarchia” (verbo ð sostantivo ð altre parti del discorso), per cui:

ü          se uno degli omofoni è una forma verbale, si accenta quella (p.es. “dà” [verbo] vs. “da” [preposizione];

ü          se tra gli omofoni non vi sono forme verbali, allora prevale il sostantivo (p.es. “càr” [carro] vs. “car” [caro]).

La regola applicata rimane la stessa, tanto in grafia locale quanto in normalizzata: sono invece le differenti rese grafiche a poter portare, come visto, a soluzioni diverse.

[7] Come si può notare, il “va” complemento (va speciä = aspetta voi), si normalizza in vë, il che fa appunto cadere la necessità di accentare il “va” voce verbale di “andé” per distinguerlo da qualcos’altro.

[8] Anche questo passaggio comporta l’abbandono, in normalizzata, di un accento diacritico cui si ricorre nella grafia locale: quello relativo ad alcune voci del verbo “parì” [sembrare]: la frase “am pàr ch’al sìa [Bassa Novarese: “sìä”] par mi” diventa infatti: “Am par ch’al sìa [siä] për mi”. Da notare che “sìa” [o “siä”] (verbo) è a sua volta accentato (sia in grafia locale che in normalizzata) in quanto diacritico rispetto al “sia” [“siä”] congiunzione (p.es.: “sia [siä] ti che lü” = sia [siä] ti che lu”)...